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Valentina PetriniTelegiornaliste anno VII N. 25 (285) del  4 luglio 2011

Valentina Petrini: la mia palestra ad Exit di Giuseppe Bosso

Questa settimana incontriamo Valentina Petrini che nella stagione appena trascorsa ha lavorato con Ilaria D'Amico a Exit, su La7, per il quale ha realizzato molte inchieste che hanno avuto notevole seguito.

Delusa dall'annunciata chiusura di Exit?
«Da febbraio si diceva sarebbe potuto succedere, ma la stagione è andata molto bene. Abbiamo fatto buoni ascolti (chiuso con 7.58 di share) e diversi scoop e quindi ci speravamo. Exit era alla sua nona edizione, non è sbagliato pensare di cambiare e rinnovarsi, ma la speranza era che la squadra fosse traghettata verso un altro progetto. Alessandro Sortino e Mariano Cirino, gli autori, in questi anni hanno formato un gruppo di giornalisti molto giovane e creato un linguaggio. Una squadra che insieme a quella di Santoro, Floris, Iacona, Gabanelli, fanno il meglio del giornalismo italiano. E non è solo merito dei giornalisti; filmaker e montatori di Exit sono tra i migliori della tv; lo spettatore di Exit sa quanto sono importanti le immagini nei nostri pezzi, quanto contano e quanto ci differenziano dagli altri. Ora purtroppo questa squadra sarà smembrata, è un po' triste...».

Secondo te quali sono state le ragioni, al di là del contratto di esclusiva della D'Amico con Sky?
«La versione ufficiale è che l'offerta Sky sia stata determinante. Non ho motivo di pensare il contrario. Anche perché, ci terrei a sottolinearlo, in fase di trattative sono solo i big a gestire il gioco. Noi, ma la stessa cosa penso avvenga anche nelle altre redazioni, aspettiamo e spesso leggiamo sui giornali le notizie che riguardano il nostro futuro. L'Italia è uno splendido Paese ma le cose avvengono in modo strano. Siamo a luglio e ancora i palinsesti non sono definiti e tantissimi bravi giornalisti, potenziali talenti, stanno alla finestra ad aspettare di capire cosa fare il prossimo anno».

Al di là di questo epilogo, come valuti questa esperienza?
«Exit è stata la mia scuola, c'è poco da dire; tutto quello che ho imparato lo devo al programma».

Qual è stata l'inchiesta che più ti ha coinvolta tra quelle realizzate?
«La P3 perché l'abbiamo dovuta difendere perché andasse in onda. Quella di un'ora sulle elezioni in Calabria (Exit Files) che quest'anno è arrivata finalista al Premio Ilaria Alpi.
E poi tutte le altre, ognuna per un suo motivo specifico».

Ti senti una precaria dell'informazione?
«Mi sento una precaria, ma non sono i soldi o la durata dei contratti a farmi sentire tale. Io sono per la flessibilità, ma non quella che ci propinano da anni. Mi sento precaria perché finito un lavoro non sono chiare le regole per trovarne un altro. Il mercato non è veramente libero».

Avverti l'aria di rinnovamento nel nostro Paese?
«Il 14 dicembre dell'anno scorso, quando Roma fu messa a ferro e fuoco dai cortei degli studenti, ho pensato che qualcosa stava cambiando. Solo chi c'era quel giorno questa cosa l'ha percepita. È stato incredibile: gli stessi organizzatori sono stati scavalcati dalla piazza, nessuno si aspettava questa esplosione di rabbia. Poi però c'è stato il silenzio. Poi le amministrative e la vittoria di Pisapia e de Magistris hanno lanciato un messaggio: attenti, i partiti sono più deboli di prima! Infine il referendum; la voglia di cambiamento c'è, la sento. Quello che non è chiaro è quale sarà il rinnovamento. Chi lo guiderà».

Cosa farai da grande?
«La giornalista!».

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