Meno bavagli per l’informazione
di Filippo Bisleri
Questa settimana, “Telegiornaliste” propone l’intervista esclusiva
ad uno dei più bravi ed apprezzati inviati di guerra:
Pino Scaccia.
Un’intervista a 360° sul mondo dell’informazione, sull’essere giornalisti oggi
nei luoghi più difficili del mondo, su come cambia la professione giornalistica
e su come sia diverso informare lavorando nella carta stampata rispetto al
lavoro nel mondo televisivo. Si tratta dunque di un’importante occasione di
riflessione, proprio come accade con la vicenda giudiziaria che vede
protagonisti Oriana Fallaci, assurta a paladina della “civiltà”
occidentale rispetto ai “pericoli” che la potrebbero minacciare e che sono
targati Islam, e il noto portabandiera della religione musulmana, Adel Smith.
Già, perché l’esposizione di tesi, la ricerca di verità, come dice Scaccia e
come dimostrano le vicende della Fallaci e del pianista ritrovato in Gran
Bretagna, continuano ad essere gli aspetti più problematici del fare
informazione. Ed è un paradosso. Perché nell’epoca della globalizzazione, dei
videotelefoni, di “Echelon”, del milione di mezzi per comunicare
esistono ancora bavagli all’informazione (come dimostrano le espulsioni dei
giornalisti a Cuba per seguire l’incontro degli oppositori di Castro).
Oppure, ed è certo il caso più eclatante, per un appuntamento importante come
quello dei referendum su alcune parti della Legge 40 del 2004 scatta una
sorta di silenzio mediatico cui “Telegiornaliste” si è subito sottratto
proponendo quattro articolate puntate per parlare dei quesiti referendari in
modo imparziale e professionale.
Perchè informare è un dovere e l’informazione migliora la società. In
tutti i Paesi del mondo.
MONITOR Ogni testa è un tribunale di Fiorella
Cherubini
La “xenofoba”, la
“mangiaislamici”, Oriana Fallaci torna a far parlare di sé. Il
procedimento giudiziario a suo carico - edificato su un reato d’opinione e la
cui udienza è stata fissata per il 12 giugno 2006 - probabilmente si tradurrà
nell’ennesima battaglia della guerra tra le idee occidentalistiche della Fallaci
e il mondo musulmano.
Adel Smith, difatti, ha sporto denuncia contro la scrittrice per alcune
frasi contenute nel suo ultimo libro, La Forza della Ragione: espressioni
che a detta del Presidente dell’Unione musulmani d’Italia sarebbero sufficienti
a configurare gli estremi non solo del reato di vilipendio del credo
musulmano ma anche quello di istigazione all’odio razziale.
Avverso al gip, Armando Grasso, che ha respinto la richiesta di
archiviazione del pm Maria Cristina Rota, si è pronunciato il ministro della
Giustizia, Roberto Castelli: Castelli ha difeso a spada tratta
la Fallaci riconoscendole il coraggio di aver detto ciò che pensa senza
travalicare i limiti del rispetto e della libertà di manifestazione del
pensiero.
Troviamo fuori luogo le affermazioni del gip di Bergamo, Grasso, secondo cui
alcune tesi della Fallaci sono esposte in modo offensivo per il popolo islamico
e per la sua religione, addebitando alla scrittice anche un impatto
traumatico sulla psiche dei lettori. Lungi dal difendere la sensibilità di
un popolo, la posizione di Grasso rischia di far pensare che la tolleranza (o la
mancanza di tolleranza) dell’Occidente nasconda l’atteggiamento
paternalistico di chi, più evoluto, si rivolga a chi lo è meno.
Preferiamo non pensare al popolo islamico in questi termini. E preferiamo
pensare ad Oriana Fallaci come a una giornalista alla ricerca infaticabile
della giustizia e della verità. Come a una scrittrice con idee forti,
che, condivisibili o meno, sempre ci stimolano a metterci in discussione.
CAMPIONATO Benvenuta Monica
di Rocco Ventre
Nel girone 2 è il giorno di Monica Vanali:
per la prima volta nella sua storia la bionda telegiornalista di Italia1
disputerà i playoff del campionato anche se nei quarti di finale incontrerà
subito la vincitrice del girone 1.
Elsa Di Gati si aggiudica un'emozionante sfida all'ultimo voto con Cristina
Guerra ed è ormai certa di partecipare anche al prossimo torneo di serie A.
Nel girone 1 importante vittoria di Laura Cannavò che ottiene il passaporto per
rimanere nell'elite del campionato: la stessa certezza non può ancora averla la
campionessa uscente Eleonora de Nardis che, nonostante la vittoria, dovrà
attendere l'ultima giornata per conoscere la sua sorte.
In zona retrocessione non va oltre il pareggio Paola Ferrari la cui permanenza
in serie A è adesso legata a una improbabile concomitanza di risultati.
CRONACA IN ROSA Lezioni di piano e di vita di Fiorella Cherubini
Spesso il mare -
partecipe involontario di tragedie umane - restituisce alla terra corpi senza
vita; per una volta si è smentito, cogliendo il mondo di sorpresa e mettendoci
di fronte ad un enigma.
Circa un mese fa, infatti, il Mare del Nord ha riconsegnato alle coste della
Gran Bretagna un giovane uomo, questa volta vivo, e il suo mistero.
Come le cronache hanno riportato, un ragazzo tra i 20 e i 30 anni è stato
ritrovato, in compagnia dei suoi spartiti musicali, a vagare smarrito sulle
spiagge del Kent, vestito di un abito nero completamente fradicio.
Mostratosi restio – per forza o per scelta - a fornire la sua identità alla
polizia inglese, è stato ricoverato presso il Medway Maritime Hospital, dove è
rimasto alcuni giorni, assistito da medici e da vari specialisti che hanno
tentato di risalire alla sua identità e al motivo che aveva scatenato in quel
giovane un doloroso mutismo e un’inespugnabile diffidenza. Munito di carta e
penna, il ragazzo ha disegnato con precisione un pianoforte a coda: una
dichiarazione abbastanza eloquente da indurre i medici a condurlo davanti ad
un organo, dove, per quattro lunghe ore, il giovane ha ricominciato a
comunicare con il mondo attraverso la musica e le note. I tasti hanno fatto
da vocabolario al pianista muto e smemorato.
Sono stati lanciati svariati appelli nella speranza che qualcuno riconoscesse
“Piano Man”, e si potessero così restituirgli un nome e un’identità, in
aggiunta al suo talento. Le segnalazioni giunte, come spesso accade in questi
casi, erano svariate e discordanti.
Un uomo polacco di 33 anni, in Italia dal 2004, aveva dichiarato agli agenti del
Primo commissariato di Roma di aver riconosciuto quel giovane: “Io so chi è
Piano Man – dice - si chiama Steven Villa Masson, è francese. L'ho conosciuto a
Nizza.” L’accertamento di questa dichiarazione ha tenuto impegnata l’Interpol
per alcuni giorni; ma, nel frattempo, un’altra segnalazione ha attribuito a
Piano Man un'altra identità, che si è creduta corretta fino allo scorso giovedì:
si pensava fosse Martin Sturefalt, svedese, genio della musica classica.
Ma non era lui: il pianista Sturefalt ha fatto sapere di essere vivo e vegeto
altrove.
I medici e gli inquirenti hanno azzardato le ipotesi più disparate, ricollegando
l’abito nero, che il pianista indossava al momento del ritrovamento, al funerale
di una persona cara e riallacciando il suo mutismo al trauma della perdita. Ci
piace pensare che non sia importante l’abito di Piano Man e che lui
non abbia bisogno della voce per comunicare, ma soltanto di un pianoforte.
Per esprimersi come con le parole, a volte, non si riesce a fare.
CRONACA IN ROSA 12 e 13 giugno 2005: Referendum sulla
procreazione assistita
di Silvia Grassetti
Si conclude questa settimana l’appuntamento di approfondimento dei
quesiti referendari del 12 e 13 giugno prossimi.
Purtroppo l’informazione, specialmente quella televisiva, non è stata
finora abbastanza chiara da permettere agli "spettatori" di formarsi
un’opinione consapevole sul referendum.
Infatti la fecondazione assistita è un argomento complesso. Il primo dato su cui
riflettere è comunque questo: se i cittadini non si recheranno a votare, non
avranno più la possibilità di modificare la Legge 40/2004.
Al di là delle prese di posizione moralistiche, cattoliche o progressiste,
crediamo che un semplice orientamento vada riconosciuto: il diritto
all’autodeterminazione, ovvero la libertà della donna, in primis, della coppia,
in secondo luogo, di decidere su un tema tanto personale e intimo da rendere
fuori luogo qualsiasi ingerenza esterna volta a impedire l’accesso alle cure
all’avanguardia, o, peggio, che metta a rischio la salute dei cittadini.
Il nostro intento è sopperire, per quanto possibile, al silenzio
stampa mediatico, fornendo ai nostri lettori alcuni ragguagli sui quattro
quesiti referendari del prossimo 12 e 13 giugno.
Nel numero
precedente abbiamo affrontato il terzo quesito referendario. E’ ora la volta del
Quarto quesito referendario: Per la fecondazione eterologa.
Nel caso in cui l’uomo o la donna siano sterili, la Legge in vigore impedisce
loro di rivolgersi alla scienza per tentare la fecondazione assistita, proibendo
la possibilità di ricorrere a un donatore (o a una donatrice) esterno alla
coppia; mentre consente la sola fecondazione omologa.
Per i promotori del “sì” la Legge dovrebbe permettere e regolare la
fecondazione eterologa. Questa facoltà di scelta darebbe una possibilità in
più anche a quelle coppie dove uno dei partners, se portatore di una malattia
genetica, la trasmetterebbe al feto.
Votando ”sì” si indica la propria volontà di modificare la Legge 40/2004
per consentire la fecondazione eterologa.
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri
Il gradino più alto del podio lo riserviamo, questa settimana, a Irma D’Alessandro. Di grande spessore il suo servizio di
presentazione della giornata di vigilia, a Liverpool, della finale di Champions
League. Un servizio bello, essenziale che ha proposta una giornalista
preparata, capace di saper resistere anche alle invadenze dei ragazzini
britannici e di non fermare la registrazione del servizio. Una vera
professionista. Una nuova dimostrazione che la D’Alessandro è una
giornalista di altissimo livello. Per lei il gradino più alto del podio e un bel
“8.5”.
Ci convince sempre di più il giovane talento diretto da Mauro Giordano,
ovvero
Laura Piva. La giornalista vigevanese, infatti,
continua a mostrare ottime performances con servizi sempre più
impegnativi che regge con grande disinvoltura e ottimo piglio. Se la
buona telegiornalista si vede dal mattino dobbiamo dedurre che, da grande, la
Piva sarà una grande stella del panorama informativo. Brava. Un bel “7.5”.
Si guadagna il podio anche Didi Leoni,
brava come sempre, mai sopra le righe. Solo un’eccessiva tendenza ad
abiti vagamente richiamanti i fiori del suo Alto Adige. Ma la sua bravura a
condurre un Tg delicato ed impegnativo quale il Tg5 delle 13.00 è indiscutibile.
Brava anche ad adeguarsi al nuovo stile-look dei giornalisti voluto dal
direttore Carlo Rossella per rendere il Tg della rete ammiraglia Mediaset meno
ecumenico di quello chiesto a Mentana all’atto del suo insediamento da Silvio
Berlusconi.
Gradino più basso del contropodio per Emilio Fede. Gaffe con “Striscia la notizia”,
continua ricerca di bellezze da mettere in mostra per nascondere i “buchi”
del suo Tg4 ci convincono sempre meno. È un direttore storico, che potrebbe
anche adulare il suo editore con maggiore garbo e raffinatezza. Qualità che,
stranamente, ultimamente mette poco in mostra pur possedendole. Bocciato con un
sonoro “5-”.
Sale sul contropodio anche Paolo Giani. Un po’ deboluccia la sua
conduzione del Tg1 della notte… quasi un’ideale prosecuzione del marzulliano
“Sottovoce”. Che cominci a soffrire, il nostro Giani, la qualificatissima
concorrenza di
Cinzia Fiorato? Speriamo sia così e che presto il
bravo collega torni ai bei livelli di un tempo che, poi, risalgono alla fine
dello scorso anno. Rimandato. “5”.
Lo avevamo messo sul contropodio già qualche settimana fa auspicando la sua
ripresa come telegiornalista, ma Xavier Jacobelli proprio non riesce a
staccarsi dal ruolo di giornalista della carta stampata e ripropone in
televisione delle conduzioni alquanto lacunose e carenti di brio.
Concediamo un’ulteriore prova di appello sperando che le sue energie non siano
distratte dal neonato “Qs” che ha anche compiuto il suo primo mese di
vita, ma che brilla per errori e gaffes: come quelle che vogliono a pag.
1 Moggi e Capello all’Inter e, stesso numero a pag. 5, i due all’opera per
rinforzare la Juventus… Rimandato… Con un “5.5”.
TELEGIORNALISTI
Intervista a
Pino Scaccia
di Tiziano
Gualtieri
Giornalista, noto inviato,
blogger,
ma soprattutto operaio della professione.
Pino Scaccia del TG1 è principalmente questo:
un uomo che con umanità riesce a raccontare la verità dei fatti
puntando sulle emozioni piuttosto che sulla sensazionalità. Un vero e
proprio zingaro del mondo dell’informazione, globetrotter tra guerre e
distruzione. Uomo dall’elevata esperienza accumulata in anni di
sacrifici, paure, tensioni e – a volte – grossi spaventi e lacrime. Sentiamo
cosa ci ha confidato in un attimo di relax...
Fino a qualche tempo fa, i nemici
principali per un giornalista di guerra erano la censura e la morte. Da un po'
di tempo si è aggiunto - in maniera sempre più importante - anche il rischio
rapimenti. Questo, per un inviato come te, ha cambiato un po' il modo di fare
giornalismo?
Ma no. Si va a seguire un evento con la piena coscienza
dei rischi. Non è che la morte sia una fine migliore di un rapimento… Nessuno di
noi è un eroe, né ha la vocazione di diventarlo. Ci si affida al mestiere, e
all’intuito, per ridurre al minimo i rischi.
Reporters Sans Frontières, nel suo
ultimo rapporto sulla libertà di stampa, parlando di Italia ha affermato come
nel 2004 sia: «La giustizia la responsabile della maggior parte delle violazioni
della libertà di stampa, con pene detentive nei confronti di giornalisti e una
moltiplicazione di violazioni del segreto professionale». A tutto ciò si
aggiunge: «Il conflitto di interessi di Berlusconi che resta un'anomalia unica
in Europa». Ma è davvero così difficile fare informazione nel nostro Paese?
Dipende. Diciamo che quando si parla di politica
nazionale è un po’ più complicato. Lo è sempre stato. Infatti non mi è mai
piaciuto occuparmi di interni.
Il noto comico Paolo Rossi, nel corso di un intervista,
ha spiegato come non sia vero che in Italia non vi è libertà di stampa. Il
problema principale è che non ci sono più i giornalisti. Quanto di vero c'è in
questa affermazione?
Paolo Rossi ovviamente parla per iperbole, come tutti i
grandi comici. I giornalisti ci sono. Forse è più difficile fare il giornalista.
Forse ce ne sono di meno. Ma non vorrei cadere nella solita tiritera: “ai miei
tempi…”. Diciamo che sono cambiate molte cose.
Il tuo motto è: «Se non diremo cose che
a qualcuno spiaceranno, non diremo mai la verità». A volte, però, capita che
qualcuno abbia perso il lavoro o la vita pur di poter dire la verità. Secondo te
esiste un momento in cui i propri ideali debbano scendere a compromessi con la
vita vera? A te è mai successo?
I compromessi non mi piacciono. Io mi sono sempre
battuto per dire la verità. Sono sincero: non ho mai avuto grandi problemi,
specie occupandomi di esteri. Lo so che dicono tutti così, ma sinceramente non
ricordo censure pesanti. Con il caso Farouk (Kassam ndr) sono andato contro
tutte le istituzioni. E dall’Iraq ho sempre avuto modo di parlare degli errori
americani.
Sempre più spesso i telegiornali vengono identificati
nei loro conduttori che diventano anchorman o anchorwoman a tutti gli effetti.
Quali possono essere i vantaggi e quali i limiti?
Anche qui è cambiato tutto: forse succedeva una volta
quando i conduttori (parlo del Tg1) erano Vespa o Frajese.. Personalmente
ritengo che adesso non sia giusto, perché i conduttori sono soltanto le facce
dei telegiornali. Dietro c’è tutta la “line” che decide e organizza, insomma
direzione e quadri intermedi. Sono esasperazioni dei media. È tutto scritto e
controllato. C’è poco spazio per l’improvvisazione personale.
Durante un'intervista (non mi ricordo quale, però) hai
affermato che all'inizio della tua carriera, l'allora tuo direttore ti disse:
vuoi fare il giornalista o il conduttore? E allora hai scelto di fare l'inviato.
Secondo te c'è ancora così tanta diversità tra le due "professioni"?
Era Morrione,il capocronista, ora direttore di
Rainews24. Allora c’era uno steccato insuperabile. Per un anno ho condotto, ma
non c’era spazio né possibilità di fare anche l’inviato. Adesso i ruoli sono più
mischiati, gli steccati non sono più così alti.
Come quasi tutti, anche tu hai iniziato dalla carta
stampata e più precisamente dal "Corriere Adriatico". Uno dei primissimi tuoi
articoli parlavano del fenomeno-Baglioni. Quanto ti manca il giornale e cosa ti
ha spinto a scegliere il giornalismo televisivo?
Prima ancora, a “Momento sera” di Roma. La carta
stampata mi manca. Mi piace scrivere. Mi sfogo con i libri: ne ho già scritti
quattro, con discreto successo. La televisione non è stata una scelta. Da un
piccolo quotidiano di provincia sono entrato alla Rai: è stata una grande
opportunità. Rimpiango quei tempi, quando il padrone assoluto ero io: cioé io e
il mio computer. In televisione il lavoro è più di gruppo: operatore, montatore,
per non dire producer e altri. Più complicato. E poi i tempi: la maledizione dei
satelliti, quando stai in zona di crisi è veramente dura. Però è pure bellissimo
lavorare con le immagini….
Anche tu sei rimasto subito affascinato dai blog.
Secondo te, quali possono essere i vantaggi e quali i limiti di questo nuovo
strumento di comunicazione che consente a chiunque di diventare editori di loro
stessi?
I limiti te li dico subito. I limiti, paradossalmente,
sono nella libertà assoluta. Non tutti hanno capacità, testa e anima per
sfruttarla al meglio. I vantaggi sono evidenti. Una comunicazione immediata,
senza intermediari, e soprattutto la possibilità di dialogare, di confrontarsi.
Infine un'ultima domanda. È di questi giorni la
notizia di due giornalisti espulsi dal regime castrista solo perché colpevoli di
fare il loro lavoro. Un'ulteriore dimostrazione che fare il proprio lavoro è
difficile anche lontano dai luoghi di guerra? E che ne pensi del "caso"
Giorgino?
I testimoni sono sempre scomodi. Non mi piace l’idea di
non essere più accettati in Iraq, per esempio. Non mi piacciono i Paesi che non
vogliono testimoni. Non mi piace affidarmi alle notizie omologate. Fare il
cronista è sempre stato difficile. E lo sarà sempre. Il caso Giorgino? Non parlo
mai dei colleghi. Specie quando sono miei compagni di stanza.
EDITORIALE
Fatti più in là di
Tiziano Gualtieri
Quello che sto per dire è forse
di dominio pubblico. Ai più risulterà essere ovvio. Forse, chi lo leggerà,
penserà che ho scoperto l'acqua calda. Eppure, parlarne una volta di più non
credo possa fare male. Anzi.
Non è una carica normale e lo sappiamo. Mai lo è stata e mai lo sarà. Una
posizione scomoda a cui nessuno aspira, ma a cui tutti
ambiscono. Fare il presidente di una delle aziende italiane più
conosciute al mondo, la Rai, piace e - come sempre accade - la bagarre
intorno a questo posto si è accesa anche questa volta.
Tirare la giacca di chiunque, battere i piedi per terra, fare i
capricci: sono queste le tecniche, non per ottenere un regalino da mamma e papà,
ma che vengono utilizzate da tutte le forze politiche per poter infilare
un proprio uomo nel Cda più ricercato sul panorama italico.
Non si capisce il perché di questa sfrenata corsa alla poltrona.
Un'azienda che - diciamolo - non consente facili guadagni, ogni giorno
sotto tiro, un Cda criticato per ogni sua scelta: ma si vede che il
gioco vale la candela. Un ruolo, quello della presidenza, scomodo.
Eppure a correre per conquistarlo erano in tanti.
Una vera e propria corsa ad ostacoli, con tanto di "oggetti" lungo il
percorso da evitare. Una corsa a cui hanno partecipato in tanti: dal
presidente della Commissione parlamentare sulla Rai, Claudio Petruccioli,
a direttori di testata come Sorgi o Mieli, da presidenti di
colossi dell'industria come Gnudi
(Enel) o ex ministri che cercano una ricollocazione (vedi
Urbani).
Quella sedia in viale Mazzini attira ed è, da sempre, pomo della
discordia tra le varie rappresentanze politiche che vogliono esprimere il
proprio presidente. Come da tradizione, anche quest'anno, è stato così. «A
te la presidenza, ma a noi la vice». «Con voi non si può dialogare». «Voi volete
sempre tutto».
Un continuo tira e molla che vede in mezzo una figura importante per la
democrazia italiana e per l'informazione intera, su cui non si riesce mai ad
avere un confronto costruttivo tra le tante forze politiche chiamate - a
volte anche in maniera autonoma - in causa.
Il tutto all'insegna del fatto che l'informazione (forse) non è politicizzata.
Il palazzo sicuramente si.
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