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Telegiornaliste anno II N. 41 (73) del 13 novembre 2006


MONITOR Intervista a Nagaja Beccalossi di Giuseppe Bosso

Questa settimana abbiamo incontrato Nagaja Beccalossi, telegiornalista dell'emittente tv Telelombardia. Nagaja è nata a Brescia nel 1981 ed è giornalista pubblicista dal 2004. E' figlia di Evaristo Beccalossi, centrocampista dell'Inter degli anni '80.
Nagaja, è retorico chiederti da cosa nasce la tua passione per il calcio?
«Naturalmente grazie al mio papà, che ho seguito fin da bambina. Poi ho avuto, per caso, la possibilità di cominciare questo lavoro, grazie a Telelombardia».
Ti ha pesato o avvantaggiato essere la figlia di Evaristo Beccalossi, grande calciatore degli anni '80?
«E’ un grosso peso, credimi; io più di tanti colleghi sono costantemente sotto osservazione e devo impegnarmi doppiamente rispetto agli altri, per non sembrare una raccomandata che ha avuto questa opportunità per il suo cognome».
La tua famiglia ti ha ostacolato o sostenuto nelle tue scelte professionali?
«Ho scelto da sola di intraprendere questa strada. Mia madre era ai Caraibi (ride, ndr) quando ha saputo che avrei partecipato al mio primo programma; papà invece lo sapeva, ma non ha mai ostacolato le mie decisioni».
Inevitabile una domanda sul grande scandalo che ha colpito il nostro calcio: senza entrare nel merito della vicenda, credi che oggi possano nascere le basi per il ritorno ad una concezione più sportiva del settore?
«Lo spero davvero; certo, chi frequenta l’ambiente sapeva che c’erano quelle voci, ma probabilmente, fino ad ora, nessuno si era voluto assumere il rischio di denunciare le irregolarità che ora sono alla ribalta. Mi auguro che si riesca a ridare a questo sport bellissimo la sua immagine pulita».
Appartieni ad una generazione di ragazze che sta lentamente superando i canoni e gli stereotipi della "bella presenza" nelle trasmissioni sportive, per diventare vere e proprie protagoniste attive del dibattito: siamo a buon punto oppure c'è ancora molto da fare in tal senso?
«Sì, vedo che sono sempre di più le ragazze che partecipano a queste trasmissioni non solo, come dici tu, a fare bella presenza, ma che partecipano attivamente alle discussioni. Io ammiro tantissimo Simona Ventura, che è stata un po’ la nostra “pioniera”, venendo criticata inizialmente, ma che col senno di poi ha dimostrato di capirne davvero di calcio, spronando me e altre a farsi avanti».
Come potrai leggere sul nostro forum hai moltissimi fans: quali sono gli apprezzamenti che più ti piace ricevere e quali, magari, ti imbarazzano?
«Posso dirlo? Alcuni dei commenti che ho avuto modo di leggere non mi sono piaciuti affatto, in particolare certi apprezzamenti sull’aspetto fisico, fatti con cattiveria e dubbio gusto. Anche per questo mi impegno tanto, proprio per far ricredere queste persone. Per contro, invece, apprezzo molto chi dice che sono spontanea e sorridente».
Quali sono le aspirazioni future di Nagaja Beccalossi, e come pensa di conciliare lavoro e vita privata con un mestiere così frenetico come questo?
«Bella domanda davvero… che dire? Aspiro a una continua crescita professionale, consapevole che la strada è lunga e difficile; per il resto, sì, occorrono molti sacrifici per conciliare lavoro e affetti, ma lavorerò tanto anche per questo».
CRONACA IN ROSA Delitto senza castigo di Erica Savazzi

Basta con le ipocrisie. Kate Moss, o, da noi, Elisabetta Gregoraci, sono delle grandi: fanno parlare di sé, attirano curiosità, e quindi fanno crescere audience e vendite.
Sono dei geni del marketing. Loro, o chi sa utilizzarle a dovere.
Gli stupidi siamo noi spettatori, lettori, consumatori, che, spinti da curiosità morbosa, seguiamo le loro gesta, ascoltiamo i servizi loro dedicati nei tg, visitiamo i loro siti internet, commentiamo le loro storie con gli amici.
Gli stupidi siamo noi, gente comune, con un lavoro comune, uno stipendio comune, una famiglia comune, che cerchiamo in loro evasione e lustrini di un mondo precluso.
Noi ragazze, che in fondo abbiamo goduto dello scivolone della Gregoraci, noi ragazze che, invidiose, abbiamo avuto la conferma che in certi ambienti possono entrare solo quelle che, con un eufemismo, scelgono bene le amicizie.
Noi, che guardiamo Lucignolo Bellavita e La vita in diretta per entrare a far parte del mondo meraviglioso delle star, noi che compatiamo Briatore e i suoi amici perché devono pagare l’attracco dello yacht in Sardegna, noi che protestiamo contro la tassa sui SUV perché magari, prima o poi, potremmo comprarcene uno, magari a rate, con un finanziamento di vent'anni. Noi, che a volte facciamo fatica ad arrivare a fine mese.
Sono maghe del marketing, Kate e Elisabetta, perché quello che hanno fatto loro, lo fanno – più in piccolo - in tante, perché è meglio sentirsi come loro, voler essere come loro, che prendere a modello la casalinga di Voghera, vita integerrima ma senza emozioni. Perché tutte, in fondo, vorrebbero essere come loro.
Belle, ammirate, magari drogate e senza dignità, ma sempre con la possibilità di risorgere, di tornare a sorridere davanti alla telecamere, di diventare ancora più ricche. Se vai a fondo, nel mondo del gossip parlano di te, diventi ancora più personaggio. Se anneghi nel mondo dei comuni mortali non c’è nessuno che ne parla, e vieni lasciato affogare.
FORMAT E’ davvero una Buona Domenica? di Giuseppe Bosso

Alla fine anche lui si è arreso, e ha gettato la spugna. Dopo dieci anni di quasi ininterrotta militanza nel cast di Buona Domenica - di cui ha saltato solo l’edizione 2003-04 per passare alla Domenica In targata Bonolis, Claudio Lippi ha abbandonato la trasmissione.
Polemico l’addio del conduttore ligure, unico sopravvissuto del passaggio dalla gestione Costanzo a quella di Paola Perego: polemico e duro come le frasi che Lippi stesso ha scritto sul suo sito per spiegare al pubblico le proprie ragioni.
Troppa volgarità nella trasmissione e mancanza di rispetto nei suoi confronti durante il "ring", ormai celeberrima novità di questa nuova edizione di Buona Domenica, da parte di Cesare Lanza, nuovo capo-progetto, e di Rocco Casalino, uno dei tanti concorrenti di reality show che devono alla continua presenza nel programma la loro fortuna. Lapidaria la replica di Cologno Monzese allo show-man: qui non si fa tv-spazzatura.
Siamo sicuri che sia così? Già qualche mese fa Telegiornaliste ha affrontato il tema del trash in tv proprio in relazione a Buona Domenica. Qualche mese fa, attenzione. Era la Buona Domenica di Maurizio Costanzo, dei concorrenti del Grande fratello di ieri e di oggi ospiti fissi, del grande spazio riservato ai “tronisti” di Maria De Filippi e similari.
Sembrano passati secoli da allora, a cominciare dalle tante facce nuove: la “regina di vallettopoli”, Elisabetta Gregoraci; l’ex "signor Ventura" Stefano Bettarini; Sara Varone, passata alla ribalta nelle cronache di un'estate fa per la relazione con Andrea Perrone, allora marito di Sabrina Ferilli. Non ci sono più - o quasi - gli “inquilini” della casa più spiata d’Italia, ma il reality la fa ancora da padrone con le nuove icone medianiche del 2006, ossia le “pupe” e i “secchioni” di Italia1.
Le due fanciulle sopra citate hanno deciso di puntare sull’autoironia, con una specie di tg satirico sul gossip. Che di satirico, in verità, ha ben poco.
Bettarini non deve faticare molto per conquistare l’attenzione delle telespettatrici, pronte davvero a tutto pur di affiancarlo come inviate in un prossimo reality; e la padrona di casa che fa? Naturalmente non sta a guardare, e come il suo baffuto e illustre predecessore intervista ospiti più o meno illustri, non disdegnando, però, di dire la sua anche negli altri momenti.
Il pubblico ha dimostrato di appoggiare pienamente la scelta di Lippi, come sottolineano i tanti messaggi di solidarietà e di stima che il presentatore riceve giornalmente sul suo sito. La sensazione che si ricava da questi messaggi è che il nuovo corso di Buona Domenica non abbia innovato in positivo rispetto al decennio targato Costanzo, tanto che pare perfino emergere una certa nostalgia per i pomeriggi contrassegnati dalla love story di Alessandra e Costantino e dai commenti della settimana sui reality. Cosa ci riserva il futuro? Chi vivrà, vedrà, si dice in questi casi. Al limite, basterà pigiare un tasto sul telecomando.
ELZEVIRO  Architettura in mostra a Venezia di Gisella Gallenca

Appena un secolo fa, solo il 10% degli abitanti del pianeta viveva in città. Oggi, più di metà della popolazione totale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 è probabile che questa percentuale raggiunga ben il 75%. La maggior parte delle persone abiterà in enormi megalopoli di svariati milioni di abitanti.
Il tema della decima Mostra Internazionale di Architettura, Città. Architettura e società (aperta al pubblico fino al 19 di novembre, presso la Biennale di Venezia), è proprio questo: l’urbanizzazione globale, l’analisi delle città e i modelli architettonici e sociali che ne conseguiranno.
Esposizioni, workshop, incontri, convegni e attività didattiche. Questi gli ingredienti di una iniziativa che ha riscosso, fino ad ora, un grandissimo successo. La presenza di importanti nomi dell’architettura contemporanea, sommata all’attualità e all’urgenza degli argomenti trattati, sono stati quest’anno motivo di forte richiamo. E non solo per gli addetti ai lavori.
Direttore della mostra è Richard Burdett, docente alla London School of Economics e fondatore del Cities Programme, un centro di ricerca e insegnamento che esplora le relazioni fra architettura, design urbano e società. Le principali problematiche trattate partono dalla crescita dei flussi dell’emigrazione, per arrivare all’evoluzione della mobilità e alla ricerca di uno sviluppo sostenibile.
Lungo i 300 metri delle Corderie dell'Arsenale sono presentate sedici grandi città dei quattro continenti, tra cui Shanghai, Tokyo, Città del Messico, New York, Il Cairo, Londra, e Milano-Torino. Come esempio significativo nel panorama urbanistico italiano, il progetto di Renzo Piano per la riqualificazione del porto di Genova.
Nel Padiglione Italia ai Giardini, invece, alcuni innovativi progetti per la città futura, prodotti dalla ricerca di tredici istituti internazionali – il Massachusetts Institute of Technology (MIT), il MoMA, e l’Istituto Universitario Architettura Venezia (IUAV), sono solo alcuni tra di essi. Immagini e documenti della progettazione urbanistica, sia contemporanea che storica, sono presentati da esperienze editoriali di settore, quali C - Photo Magazine e Domus.
E ancora Learning from Cities, laboratorio internazionale di progettazione coordinato da Francesco Garofalo, con 23 scuole di architettura italiane ed estere invitate a confrontarsi sui temi centrali della Mostra.
Per la prima volta partecipa anche la Regione Veneto, con un proprio spazio espositivo intitolato Verso il Terzo Veneto.
Attraverso l’arcipelago di esposizioni che la costituisce, la mostra presenta una panoramica complessiva di oltre 130 città di tutto il mondo, che rappresentano una vera e propria fotografia della situazione urbana e delle opere architettoniche del globo ad oggi.
DONNE Maria Sofia, la regina del Sud di Stefania Trivigno

«Tutto è poesia nella donna, ma in essa dorme un oceano che bisognava porre in moto, ed invece si volle che restasse come la quieta superficie di un lago». Con queste parole Pietro Calà Ulloa, ministro di Francesco II, re delle Due Sicilie, descriveva la personalità di Maria Sofia, divenuta regina di Napoli all’età di 18 anni.
Maria Sofia di Baviera, sorella della principessa Sissi, sposa l’erede al trono di re Ferdinando II, deceduto prematuramente e costretto a lasciare il regno nelle mani di suo figlio Francesco, del tutto inesperto e succube del carattere forte e conservatore di sua madre Maria Teresa.
A 18 anni si è troppo giovani e ingenui, soprattutto per ricoprire una carica di tale portata. Ma la giovane donna, cresciuta in un ambiente regale, impara presto a gestire le situazioni difficili.
Appena divenuta regina, Maria Sofia si accorge che suo marito Francesco è in gravi difficoltà: il regno è in crisi a causa dell’avanzata garibaldina.
Il suo grande intuito le suggerisce che è necessario introdurre nel regno un regime costituzionale e fondare le basi di una società liberale. Ma gli ideali di Maria Sofia si scontrano con il conservatorismo di Francesco II, che decide, invece, di dare ascolto ancora una volta alla madre e di fidarsi di sua moglie solo quando sarebbe stato troppo tardi.
Giunti a Napoli, infatti, i garibaldini costringono i sovrani a rifugiarsi a Gaeta ed è proprio qui che la regina, forte delle sue idee, invece di abdicare e ammettere l’imminente disfatta, scende tra i soldati, impugna le armi e combatte. Infonde forza, coraggio e determinazione fra le truppe, si sveste degli abiti regali e indossa quelli maschili. L'amor di patria la spinge a tutto, anche a sfidare il nuovo Regno d'Italia organizzando la resistenza borbonica.
Maria Sofia inizia a far parlare di sé. In tutta Europa la omaggiano: scrivono di lei D'Annunzio, Daudet, Proust.
Nulla può contrastare la tenacia di questa donna, se non un gesto ignobile: fotomontaggi ritraevano la regina in atti osceni. Si tratta del volto di Maria Sofia sul corpo di una prostituta. Le foto fanno presto il giro dell’Europa.
Maria Sofia non può fare altro che gettare la spugna e con suo marito si rifugia in Francia, dove continuerà ad organizzare attività sovversive.
La regina del Sud muore nel 1925 all’età di 84 anni.
TELEGIORNALISTI Sandro Ruotolo, a destra di Santoro di Giuseppe Bosso

Nato a Napoli, Sandro Ruotolo inizia la carriera giornalistica ne Il Manifesto. Dal 1980 in Rai, comincia la collaborazione con Michele Santoro nel 1988: inviato di Samarcanda, caporedattore al Rosso e Nero, vicedirettore della struttura Tempo Reale. Per tre stagioni televisive è coautore e vicedirettore di Moby Dick e Moby's su Italia1. Nel 1999 segue Michele Santoro a Rai1 per il programma Circus e nel marzo 2000 per Sciuscià. Nel 2006 torna in televisione con il programma Annozero.
Da quasi vent'anni lei è il "braccio destro" di Michele Santoro; che tipo di rapporto si è instaurato tra di voi nel tempo?
«Stima, affetto, lavoro e comunanza. E passione comune per questo mestiere. Direi che si può riassumere così».
Santoro dopo alcuni anni è tornato in tv con Annozero, ma i dati sugli ascolti non sono positivi: dipende dalla nuova formula del programma rispetto a quella storica?
«È un programma nuovo che cerca di proporsi ad un pubblico conservatore, che non ti fa sconti quando cerchi di guadagnare ascolti. Direi comunque che, per gli share di Rai2, i risultati di Annozero sono più che lusinghieri, considerando che ottiene due punti in più della media. La strada è certamente in salita, ma ci vuole tempo perché un prodotto si affermi e si consolidi. Indubbiamente la trasmissione è diversa dai “classici” programmi di Michele Santoro che il pubblico è abituato a seguire; tenga conto che le generazioni si formano ogni cinque anni, e noi ne abbiamo saltata una, in questo lustro».
Senza entrare nel merito della vicenda che ha riguardato il suo collega, pensa che ancora oggi la politica possa condizionare in maniera così forte il mondo dei media e dell'informazione?
«Prodi ha lanciato questo monito, appunto, per un’informazione più libera. Il problema è che nel nostro Paese non ci sono editori “puri”, intesi come liberi da condizionamenti. Sicuramente la carta stampata è più libera della televisione (ma anche lì si avvertono queste presenze). È sicuramente un tema che dovrà essere affrontato nei prossimi anni».
Quale ritiene sia il ruolo del giornalista nella società di oggi, tra vicende dolorose come i tanti delitti che abbiamo vissuto e una situazione politica di forte contrasto dialettico tra gli schieramenti?
«Raccontare. È questo il nostro compito, essenzialmente. Dopodiché è chiaro che quando vuoi fare inchiesta o approfondimento devi essere in grado di espletare il tuo punto di vista. Ed è importante averne molti. È stato importante, secondo me, l’appello lanciato da Ciampi all’epoca della sua presidenza, e ora da Napolitano, i quali si sono richiamati ad una maggiore libertà dei giornalisti. Alla luce delle oscure vicende che hanno riguardato i colleghi di La Repubblica, del caso Telecom che è molto eloquente secondo me, e gli stessi scandali del calcio e della televisione, direi che c’è un Paese Italia da raccontare in maniera compiuta ed esauriente».
Il suo è uno dei blog più visitati in rete: come crede che queste nuove forme di comunicazione potranno influire sulla vita del futuro?
«Ci fanno crescere. Sicuramente sono forme di comunicazione solitamente riservate ad un target più giovane, come immagino nel caso del vostro magazine, in un’Italia che invecchia a vista d’occhio. I dati dicono che i giovani guardano meno la televisione e passano di più il loro tempo davanti al pc, come i miei figli, proprio per le enormi potenzialità che la tecnologia offre loro. Direi che sarebbe opportuno “svecchiare” il pubblico della televisione cercando proprio di avvicinare i giovani con l’impiego della tecnica. Per quanto mi riguarda, invece, posso dire che il blog mi diverte, dandomi una possibilità in più di esprimere le mie opinioni».
OLIMPIA Nuria Guardia Pulido, la classe a servizio della squadra di Mario Basile

Continua il nostro viaggio nel mondo del calcio femminile. Questa settimana abbiamo incontrato Nuria Guardia Pulido, centrocampista offensivo del Torino Calcio Femminile.
Spagnola, ventidue anni, Nuria è una delle protagoniste del buonissimo avvio di stagione della sua squadra.
Nuria, come hai deciso di fare la calciatrice?
«Avevo undici anni, ero lì in Spagna coi miei genitori e avevo deciso che volevo provare a far parte di una squadra. Prima di allora non avevo ancora giocato in nessuna squadra, ma sempre per strada, coi miei amici. Poi all’età di undici anni ho detto ai miei genitori di questo mio desiderio e così ho iniziato».
E la tua prima squadra è stata il San Gabriél…
«Giusto, il San Gabriél. Una squadra di Barcellona che faceva la Serie A2. Ho giocato lì fino ai diciotto anni quando poi sono venuta in Italia».
Quale differenza hai trovato tra il calcio femminile spagnolo e quello italiano?
«Quello spagnolo è un calcio molto più tecnico, a differenza di quello italiano che si basa più sull’aspetto fisico e tattico. Io, personalmente, preferisco quello spagnolo per le mie caratteristiche. Però devo dire che mi piace tanto anche quello italiano anche se è un po’ più aggressivo e di conseguenza più tattico».
Quindi non hai trovato particolari difficoltà ad ambientarti…
«No, anzi, proprio per questo ho trovato molta difficoltà. Le mie caratteristiche sono altre: privilegio la tecnica al gioco fisico, anche perché sono piccola fisicamente. Per cui l’inizio non è stato facile».
In Spagna hai giocato da trequartista e, a volte, anche da seconda punta. Qui, invece, ti hanno spostato sull’estrema sinistra. Quale tra questi ruoli preferisci?
«Trequartista, senza dubbio (ride, ndr)!».
Hai un sogno da realizzare, calcisticamente parlando?
«In questo momento vorrei vincere il campionato e la Coppa Italia col Torino. Quando giocavo nel mio paese il mio sogno era la promozione col San Gabriél».
C’è un ricordo della tua carriera a cui sei particolarmente legata?
«Ce ne sono tanti. Una cosa che, però, non dimenticherò mai è quando noi del Torino l’anno scorso abbiamo perso la semifinale di Coppa Italia contro il Bardolino per 3 a 2. Meritavamo di vincere, avevamo dato tutto, le avevamo messe in difficoltà, ma è andata male. Però la coppa la vinciamo sicuramente quest’anno (ride, ndr)».
Come vedi il mondo del calcio femminile?
«Credo che la cosa più importante sia che le istituzioni e le organizzazioni credano in questo mondo. Nei paesi del Nord Europa avviene: lì le istituzioni e le organizzazioni finanziano il calcio femminile. Questo è un primo passo. Poi si potrebbe fare come in Spagna, dove le squadre maschili aiutano quelle femminili che così ne guadagnano anche a livello di visibilità».
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