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Telegiornaliste anno III N. 41 (119) del 12 novembre 2007


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MONITOR Lucilla Granata: Sky, la televisione del futuro di Pierpaolo Di Paolo

Nata a Cremona il 26 agosto 1972, Lucilla Granata è giornalista professionista dal 2000.
In Rai per sei anni come inviata sportiva, oggi lavora a Sky Sport 1.

Lei lavora per Sky Sport 1 ma ha iniziato la sua carriera in Rai, che differenze organizzative e di ambiente lavorativo ha potuto riscontrare?
«Sky è il massimo sia dal punto di vista tecnico che da quello delle idee. Sky è innovazione, è futuro: hai presente il futuro della televisione italiana?
Certo la Rai per me è sempre mamma Rai. Io ci sono arrivata giovane, ci sono rimasta per quasi sei anni e ho un affetto grandissimo che mi lega a quella realtà. Devo anche dire che è totalmente diversa, fatta di grandi penne, grandi giornalisti di fama nazionale e grandi potenzialità mai del tutto sfruttate. Questo avviene perché è una realtà un po' più lenta, per tanti versi superata. Però è anche vero che quando penso alla tv italiana, all'Italia, anche solo al mondiale, automaticamente penso alla Rai.
Io adoro Caressa, che è il giornalista più bravo al mondo, però vedere il mondiale sulla Rai ancora mi fa emozionare».

Quindi Sky, anche se è l'ultima arrivata tra le grandi famiglie televisive, rappresenta già l'apice per un giornalista?
«Assolutamente sì. Sky è una realtà che si è imposta in tempi brevissimi: in soli quattro anni ha più che raddoppiato i suoi abbonati, e questa non è una cosa casuale, considerando che è una tv a pagamento. Se quello che proponi non piace, le persone non si abbonano o non rinnovano. Questo continuo incremento è per noi un'affermazione importante, vuol dire che piaci e che la qualità del tuo lavoro è davvero molto alta, anche considerando che un abbonamento a Sky non è proprio la cosa più economica del mondo. Per un giornalista esser qui è un continuo stimolo e sinonimo di una continua crescita».

Ne deduco quindi che non tornerebbe mai indietro. Non è possibile un suo ritorno in Rai?
«Questo no, non lo so. Sono molto affezionata alla Rai e poi io penso che rimanere troppo tempo nello stesso posto possa essere anche un limite per un professionista, per cui non escludo nulla: non escludo un rientro in Rai, non escludo altri cambiamenti».

Si sta riferendo a Mediaset?
«No, questo non lo so, bisognerebbe valutare tante cose. Ma non lo escluderei a priori, questo mai».

Quale pensa che sia lo stato attuale tra sport e violenza? Dopo i fatti di Catania e la morte di Raciti la risposta del governo è stata risolutiva, o i risultati che abbiamo oggi sono solo temporanei e il problema ancora vivo?
«Secondo me assolutamente adeguata. Io, più che per la repressione, sono dell'idea che bisogna operare per far crescere la coscienza civile delle persone. Sono ottimista di natura e nonostante tutto continuo ad avere molta fiducia nell'intelligenza dei tifosi. Sono assolutamente certa che la stragrande maggioranza delle persone che vanno a vedere le partite siano persone civilissime, tifosi veri, sportivi veri. E poi abbiamo anche visto come adesso, a prescindere dalle manovre del governo o dagli interventi della polizia, quando qualche isolato deficiente si mette a tirare bombe carta o razzi sono per primi i tifosi che gli sono accanto che intervengono cercando di segnalarlo ed allontanarlo. Questo mi rende molto ottimista».

Questo è accaduto a Torino, ma non è un episodio ancora troppo isolato nella nostra realtà?
«E' successo recentemente anche in un altro stadio che adesso non ricordo, per cui ci sono già un paio di occasioni in cui si comincia a vedere il venir fuori e prevalere di una coscienza civile collettiva. Io speravo non si dovesse mai arrivare ai fatti di Catania, però oggi sono assolutamente contenta e ottimista sul futuro».

In Italia si è puntato molto sul potenziamento delle strutture con stadi ristrutturati, tornelli, reti su interi settori per impedire il lancio di oggetti. In Inghilterra, che non può certo vantare tifosi tranquilli e moderati, gli spettatori sono invece praticamente in campo. Com'è possibile?
«Il modello inglese è assolutamente condivisibile, ma ricordiamoci anche che lì non si picchiano più dentro gli stadi per farlo appena 300 metri fuori, per cui il problema è soltanto traslocato ma di certo non risolto.
Ad analizzare bene la situazione non so davvero se siamo noi a dover imparare qualcosa da loro, o non sian piuttosto loro a dover ancora raggiungere il nostro livello.
Certo in Inghilterra lo spettacolo è indubbiamente molto piacevole e scenografico da vedere, e questo sia televisivamente sia per lo spettatore che siede allo stadio e può godersi la partita stando lì davanti senza recinzioni, impedimenti, barriere... Ma secondo me una soluzione del genere è ancora prematura per l'Italia».

Lei da inviata di sport si è trovata spesso a commentare episodi di violenza? Qual è stato il collegamento più difficile che ha dovuto realizzare?
«Una volta a Reggio Calabria ero a bordo campo e a fine partita si è scatenato improvvisamente il putiferio con un fitto lancio di oggetti dagli spalti. Barzagli, che era proprio di fianco a me, è stato colpito, mentre io son riuscita fortunosamente ad evitare un paio di oggetti scansandomi. In una seconda occasione, a Cagliari, mi son trovata nel mezzo di una rissa nel tunnel tra i giocatori che andavano negli spogliatoi. Questi sono episodi che ci stanno. Non ho mai avuto paura ad andare allo stadio, continuo a non averne, e continuo a pensare che sia un gran bello sport al di là di tutto, al di là del comportamento di quelli che cercano di rovinarlo».

Quindi può testimoniare che anche il comportamento dei protagonisti non è sempre encomiabile a tal proposito. Questo è un pessimo esempio per la testa calda che si trova sugli spalti e magari ha bisogno solo dello spunto giusto, cosa ne pensa?
«Prima ancora che giocatori di calcio e personaggi pubblici, sono ragazzi. E' chiaro che devono tener presente che il loro comportamento influenza migliaia di ragazzini che vogliono solo seguire il loro esempio, ma non è sempre facile mantenere il controllo in campo. Non è facile, non sempre ci riescono, però sono sempre i primi a scusarsi quando succede qualcosa di sbagliato e questo è già un buon segnale».

Ma quando questi gesti provengono da chi ragazzo non lo è più? Mi riferisco all'episodio di Baldini che nella partita tra Catania e Parma ha rifilato un calcio a Di Carlo.
«Baldini è un amico, per cui non mi va di parlarne male. E' chiaro, ha sbagliato. Io d'altronde ero proprio lì a bordo campo e posso dire che se da un lato non si può che condannare il suo gesto, dall'altro si deve anche rilevare che è stato un gesto istintivo, connotato da pochissima violenza, tanto che mi è sembrata più una cosa comica che altro.
Certo è da condannare, ma anche lui ha chiesto scusa e direi che è finita lì».

Lei nasce come giornalista sportiva o ha iniziato facendo cronaca?
«Prima di passare alla Rai ho lavorato alla radio e poi alla televisione di Bergamo, e lì mi sono occupata di cronaca. Ho dovuto lavorare anche a casi di omicidio e sinceramente l'esperienza acquisita mi fa dire che non è quello che mi piace fare, non è il ruolo che fa per me. Come giornalista sportiva mi sento molto più a mio agio e credo di avervi trovato la mia dimensione».

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MONITOR Silvia Rocca, poliedrica ex aspirante giornalista di Giuseppe Bosso

Non è una giornalista, ma il segno nel mondo dell'informazione, nel bene e nel male, lo ha lasciato. Silvia Rocca è infatti la famigerata conduttrice dello spazio “naked words” trasmesso da Antenna3 all’interno dell’altrettanto famoso Spicy Tg. I nostri lettori la ricorderanno di certo.
Ex aspirante giornalista, quindi, fotomodella, scrittrice, sessuologa: si fa fatica a inquadrare la Rocca in una sola categoria. Per provare a descriverne la personalità, potremmo dire che non ha peli sulla lingua. Come ci dimostra nell’intervista che ci ha rilasciato.

Silvia, secondo molti lettori del nostro magazine condurre il tg senza vestiti, come ha fatto lei con Spicy Tg, è degradante: lo ammette?
«Sempre meglio di quello che fanno tante oche in televisione, come Melita del Grande fratello».

Dall'estero ci criticano per le soubrette: se non sono seminude non vanno in tv. Essere o sembrare una donna oggetto resta l'unico modo per diventare famose?
«Sì, è proprio così, nessuno può nascondersi e i fatti parlano chiaro».

Quanto conta per lei essere apprezzata per il corpo e quanto per la mente?
«Non me ne frega niente né dell’una né dell’altra cosa».

Tornando a Spicy Tg, sinceramente quanto crede che gli spettatori uomini prestassero attenzione alle notizie?
«Quell’esperienza è stata una provocazione che ho voluto fare: non mi sono mai preoccupata di cosa pensassero le persone che mi guardavano».

Quale telegiornalista "vestita" ammira di più e quale ha preso a modello?
«Nessuna, non ho avuto alcun modello e, come ti ho detto, Spicy Tg la consideravo più che altro una provocazione».

Scrittrice, attrice, dj, indossatrice. Il giornalismo cosa rappresenta per lei tra tutte queste attitività?
«Un’attività che non ho potuto sviluppare perché i “signori” dell’Albo mi hanno fatta fuori».

Per concludere, se lei potesse decidere di fare un’intervista “nudo a nudo”, a quale personaggio la farebbe?
«A Bruno Vespa».

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CRONACA IN ROSA Simona, medico a distanza di Erica Savazzi

Che la guerra comporti un rapido peggioramento nelle condizioni di vita – soprattutto dei più deboli, donne, bambini e anziani – non è una novità. La novità è invece il ruolo che possono avere le nuove tecnologie nel migliorare le cure e aiutare gli operatori sanitari in quei Paesi dove la situazione è difficile.

Una testimonianza dell’aiuto che può venire dalla cosiddetta telemedicina arriva dal sempre più instabile Iraq, dove grazie alla collaborazione tra Intersos, il Dipartimento di Scienze Chirurgiche, il Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia dell’università La Sapienza, l’ospedale pediatrico di Baghdad (CWTH), l’Agenzia Spaziale Europea e Telbios, e grazie ai fondi della Task Force Iraq finanziata dal ministero degli Affari Esteri italiano, è stato possibile far dialogare a distanza medici italiani e iracheni tramite teleconferenza, consentendo così lo svolgersi di corsi di formazione e attività di consulto.

Il progetto – denominato Simona in omaggio alle donne irachene ed italiane che vi lavorano – è nato quando il peggioramento delle condizioni di sicurezza a Baghdad non ha più permesso agli operatori di mantenere contatti agevoli. La collaborazione iniziata nel 2003 tra Intersos, la Sapienza e l’ospedale pediatrico universitario di Baghdad si è quindi dovuta evolvere: la telemedicina è stata giudicato lo strumento più adatto a perseguire lo scopo iniziale.

Ma il tutto non si risolve solamente in consulti o corsi di aggiornamento: il programma infatti ha come obiettivo il miglioramento reale delle condizioni del CWTH di Baghdad e dei servizi che offre ai piccoli pazienti tramite la fornitura di medicinali e materiale medico.

I prossimi progetti? Estendere questa modalità di comunicazione e di lavoro ad altri reparti del complesso ospedaliero di Baghdad e possibilmente di applicare gli stessi principi anche nei nosocomi di altre due importanti città irachene, Bassora ed Erbil.

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FORMAT The new Tg5 di Nicola Pistoia

Dopo il cambio della guardia - per alcuni necessario - tra Carlo Rossella e Clemente J. Mimun, il Tg5 subisce un importante restyling che vede l’inserimento di nuovi conduttori, nuove rubriche, un nuovo studio e tante altre sorprese.

Cominciamo dai conduttori. Le edizioni rimangono le stesse: quella delle 8.00, delle 13.00, delle 17.00, delle 20.00 e quella della notte. Per ogni edizione si alterneranno più conduttori, tra cui diverse new entry. L’edizione del mattino, a rotazione, sarà affidata a Gianluigi Gualtieri, Paolo Trombin, Maria Luisa Cocozza, Laura Cannavò, Barbara Pedri, Gioacchino Bonsignore e Domitilla Savignoni. La novità di questa prima fascia è Simona Branchetti, ex SkyTg 24, passata definitivamente in casa Mediaset.

Per l’edizione delle 13.00 rimangono confermati i capisaldi dell’intero tg. Quindi Giuseppe Brindisi, Fabrizio Summonte, Didi Leoni, Paola Rivetta, Chiara Geronzi, Luca Rigoni e Salvo Sottile faranno compagnia ai telespettatori durante l’ora di pranzo.
New entry di questa edizione, direttamente da Studio Aperto, è Elena Guarnieri, che pare sia stata fortemente voluta dal neo direttore.
Proprio nell'edizione delle 13.00, inoltre, saranno inserite nuove rubriche dedicate ai viaggi, agli animali e alla salute.

L’edizione flash delle 17.00, della durata di cinque minuti, sarà affidata a Benedetta Corbi, già conduttrice di Verissimo, Alberto Duval, Tito Giliberto e Monica Gasparini, anche lei passata dal telegiornale di Italia1 a quello della rete ammiraglia.

Ma le novità interessano soprattutto l’edizione più seguita, quella delle 20.00. Destituiti dall’incarico di conduttori sia Annalisa Spiezie - promossa vicedirettore di Studio Aperto - che Alberto Bilà, nuovo caporedattore insieme a Didi Leoni, rimangono ancorate alle proprie seggiole il vicedirettore Cesara Buonamici e Cristina Parodi.
Le due new entry maschili sono proprio Clemente Mimun, che ritorna alla conduzione di un tg dopo tanti anni, e Giuseppe De Filippi, che fino a questo momento si era occupato di economia.

Per l'edizione notturna è stata riconfermata la rassicurante Cristina Bianchino, insieme a Paolo Di Mizio. La terza conduttrice sarà l'inviata Simonetta Di Pillo.

Per concludere, altre novità interessano lo studio. Mimun ha voluto una scenografia tutta nuova, supertecnologica, con pareti luminose che ricordano i tg dei cugini francesi.
La battaglia con il diretto rivale, il Tg1, continua.

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CULT Lucca Comics & Games: la scatola dei sogni di Gisella Gallenca

Un evento che è ormai un vero e proprio cult. Per gli appassionati dei fumetti, per gli irriducibili del gioco di ruolo, per i cosplayer incalliti. Ma anche per tutti coloro che, nonostante tutto, credono alle favole. Almeno un po’.

Lucca Comics & Games, la fiera del fumetto più famosa d’Italia – una manifestazione che vanta ormai una storia ventennale – ha un’atmosfera unica, che si percepisce fin dal primo momento. Una location superba, il centro storico di Lucca: un museo a cielo aperto, arroccato tra possenti mura. E un pubblico affezionato e partecipe, sempre più vasto e variegato.

L’appuntamento di quest’anno si è tenuto tra l’1 e il 4 novembre: un programma della durata di quattro giorni, organizzato secondo un calendario molto articolato. Ma quali sono stati i momenti di punta, i nuovi trend e gli autori più seguiti dal pubblico?

Prima di tutto, grande attenzione per il fumetto italiano. Classici e avanguardie, grandi disegnatori e nomi emergenti. Visitatori numerosi e costanti allo stand della Bonelli, ma anche un notevole interesse per le nuove produzioni di Diabolik.
Accoglienza trionfale per Leo Ortolani, creatore dell’anti - supereroe Rat-Man. Grande successo anche per Simone Bianchi, autore Marvel originario di Lucca. Di grande richiamo, le pubblicazioni delle Edizioni BD: un titolo per tutti, Ucciderò ancora Billy the Kid, di Roberto Recchioni e Riccardo Burchielli. Da tenere d’occhio.

Ma tra gli ospiti provenienti dal nostro Paese, non sono mancati alcuni autori dell’editoria tradizionale. Vivace più che mai il mercato della letteratura di genere, soprattutto fantasy: a partire da Licia Troisi – autrice bestseller di casa Mondadori – per arrivare a Francesco Falconi, con il suo Estasia pubblicato da Curcio.

Tra i giovanissimi, invece, è Giappone mania. Manga, giochi di carte, DVD e gadget a tema sono tra gli oggetti più ricercati. Ed è sempre più diffusa la presenza di cosplayer: il contest ufficiale ha impegnato i partecipanti per gran parte del pomeriggio di sabato 3 novembre. Moltissimi i costumi fedeli all’originale e curati in ogni dettaglio, presentati in brevi e divertenti performance.

Tra gli ospiti internazionali, infine, un celebre concept artist: Iain McCaig, creatore di celebri personaggi cinematografici e collaboratore di George Lucas per la nuova trilogia.
 

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DONNE Maga. Pardon, cartomante di Laila Di Naro

Di nome fa Marisa e il cognome è Nateri, gli anni sono un enigma. Perché lei, di professione cartomante sensitiva, ormai sulla cresta dell’onda, vive nei misteri e dai suoi ricordi di “consorella guaritrice” dice di avere duemila anni.
Dopo tante moine, con estrema difficoltà, ha cacciato fuori il dato anagrafico: millenovecentosessantaquattro. Infatti è una bella mora, sensuale e senza nemmeno una zampa di gallina su quegli occhi neri, profondi e grandi che ha.

L’attraente Marisa, che d’aspetto sa un po’ di Morticia, vive nel centro storico di Cagliari avvolta nella più totale magia: in 70 metri quadrati tra il sacro e il profano aleggia stupore e allo stesso tempo armonia, i muri sono tappezzati di madonne e santini e tra le stanze scorrazzano le sue fedeli creature. Mandra, la sua bimba - iguana, «tipico animale magico degli operatori magici», che tiene teneramente in braccio.
E poi ci sono Bambolina, Carabà, Polpettina e Tinki: quattro simpatici gattini che «credo siano la reincarnazione di donne saccenti, e il maschio quella di un mio fidanzato marpione, perché mi importuna spesso e volentieri».
Dulcis in fundo, Tarti, la tartaruga più veloce che rincorre i suoi amici felini: «Crede di essere una di loro. I miei piccoli sono particolari, fanno ciò che vogliono».

In questa atmosfera speciale lei, la cartomante spirituale, legge i tarocchi: «Aiuto le persone bisognose, sono la giardiniera delle anime perché ho capacità divinatorie e sono una missionaria». Chiacchierare con Marisa è interessante, non spaventa né imbarazza. Anzi. Calma e serena, non si scompone nemmeno se la provochi. Difficile metterla in mezzo perché crede in ciò che fa e non lo fa per soldi ma per passione. O per eredità: «Mia bisnonna Battistina è stata la prima medium negli anni Trenta, molti la ritenevano una strega, ma streghe non siamo. Fortunatamente abbiamo la facoltà di essere in contatto con la vita celeste. Mia bisnonna ha dovuto combattere con i pregiudizi e i tabù di allora».

E lei?
«Sono entrata in una società moderna e ho avuto molti ostacoli ma sono fedele a Dio e alla Madonna e la mia crescita professionale è grazie alla mia seriètà. Non ho mai imposto prezzi. Solo offerte, non sono iscritta a nessun albo».

Cosa sono i tarocchi per un cliente?
«Sono un tramite per chi sta seduto di fronte a me, placa la paura di esprimere i propri sentimenti. La cartomanzia è uno scambio energetico ed è doveroso aiutare le persone a rivelarsi».

Cosa le chiedono i suoi affezionati?
«La maggior parte vuole sentire l’amore. Poi la salute e il lavoro».

Il male più diffuso?
«Senza dubbio i sentimenti. Sono il motore portante di una persona, se vacillano vacilla tutto il resto».

Il target dei suoi “malati di cuore”?
«Ho sempre preferito lavorare con la gente della notte, sono più spontanei e più disinvolti. I più bisognosi sono i maschi, troppo timorosi, hanno perso la stima di se stessi. E’ necessario rimetterli nella giusta carreggiata. Non è più tempo di perdere tempo».

Gli scettici?
«Macché scettici, falsi scettici. Professionisti, politici, insegnanti, sono increduli e diffidenti però mi contattano periodicamente. Nessuno ci crede ma si siedono tutti».
Ma sui nomi top secret.

Vanna Marchi?
«Una venditrice di fumo. Come tanti».

Tra i suoi colleghi quindi tanti cialtroni?
«Non credo di avere colleghi, non appartengo a nessuna categoria. Io faccio esperimenti divinatori».

Cioè?
«Ribadisco: ho la capacità di mettere in funzione una particolare sensibilità che vede oltre per aiutare il prossimo».

Allora è una maga?
«Prego: cartomante. Non mi sono mai offesa di essere considerata una maga. Sono due termini simili ma molto diversi tra loro. Io non faccio mica pozioni. Non avrei nessuna voglia di sporcare la cucina con code di rondini e zampe di insetti. Io vi tutelo con la non conoscenza, ciò che vedo e sento è la mia medicina per voi».

Il satanismo?
«Un mondo terribile, senza legge. Nasce dalla disperazione. I giovani di oggi non hanno più valori. Ieri c’era il nazismo, oggi è difficile fermarlo».

L’esorcismo?
«C’è poca conoscenza. Fortunatamente in tutto il mondo ci sono rarissimi casi. Sono malati di schizofrenia. Ma nutro stima per chi aiuta queste persone».

Lei ha amici veri?
«Si contano su una mano».

Insomma chi è Marisa?
«Oggi una cartomante realizzata, forte e rispettosa. Sono anche una principiante pittrice espressionista dell’anima, e di simboli antichi. Ieri Marisa era la reincarnazione (tra le tante ricordo in particolare questa) di una consorella europea che guariva le polmoniti e dolori muscolari. Eravamo perseguitate e costrette a vivere nelle grotte. Siamo rimaste in contatto e stiamo cercando le nostre testimonianze della nostra esistenza. Su questo tasto preferisco non espormi. Per rispetto delle altre medium».

Perché si definisce donna antica o d’altri tempi?
«Sono nata duemila anni fa».

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TELEGIORNALISTI Addio Enzo di Mario Basile

«No, io mi ritengo così fortunato! La mia generazione è stata testimone di moltissimi eventi. Gli eventi, molto spesso, sono delle rotture di scatole. Però ho visto morire tre ideologie, il fascismo, il nazismo, il comunismo. Ho visto ammainare la bandiera rossa dal Cremlino, io che sono stato in giro per la Russia con la nipote di Lenin e il nipote di Stalin. Sono stato in Georgia, ho fatto più brindisi io alla memoria di Stalin che tutto il popolo sovietico per venti anni. Ho visto cancellare il senso della distanza. Sono andato da Parigi a New York in due ore a 40 minuti, il tempo di fare colazione. Ho visto sparire le mamme che andavano alla stazione per salutare i figli con un fazzoletto bianco. E’ scomparso l’addio.
E’ stato un secolo che ha avuto un condensato di avvenimenti portentoso. Ha avuto più scienziati di tutti quelli che erano esistiti prima. All’inizio del secolo la vita media dell’uomo era 40 anni. Fra un paio di giorni io ne compio 80
».

Rispose così Enzo Biagi, all’alba dei suoi 80 anni, a Claudio Sabelli Fioretti che gli chiedeva se gli sarebbe piaciuto vivere in un altro secolo. Come avrebbe potuto dire di no, lui che quel secolo l’ha raccontato tutto. Anzi, ce l’ha raccontato. Con chiarezza e precisione, ma soprattutto col buon senso. Perché, come diceva lui stesso: «Si può essere a sinistra di tutto, ma non del buon senso».

Aveva cominciato da ragazzo a scrivere, su un piccolo quotidiano, Il Picchio di Bologna, dove la famiglia si era trasferita da Lizzano in Belvedere, il suo paese d’origine.
Si occupava di vita scolastica. Erano gli anni del regime fascista, della censura e della stampa controllata, e il giornalino fu soppresso. Quegli stessi fascisti, una decina d’anni dopo, Biagi si trovò a combattere con le armi: durante la Resistenza aderì alle Brigate partigiane.

Una Resistenza che per Biagi non era mai del tutto finita. Pochi mesi fa, in un articolo su Corsera.it, scrisse appunto: «Una certa Resistenza non è mai finita. C'è sempre da resistere a qualcosa, a certi poteri, a certe promesse, a certi servilismi. Il revisionismo a volte mi offende: in quei giorni ci sono state anche pagine poco onorevoli; e molti di noi, delle Brigate partigiane, erano raccogliticci. Ma nella Resistenza c'è il riconoscimento di una grande dignità».

In quegli anni il giornalismo era già diventato la sua vita, lavorava al Resto del Carlino, ma fu dopo il conflitto che cominciò la vera carriera. Scrisse di terribili tragedie – come l’alluvione del Polesine - e di fatti più leggeri, quando faceva l’inviato e il critico cinematografico.

L’occhio critico sul mondo, però, non l’aveva mai abbassato. Sapeva sempre dove stava andando. La sua adesione al Manifesto di Stoccolma, contro la bomba atomica, gli costò l’allontanamento dal Resto del Carlino con l’accusa di essere “un comunista sovversivo”. Fu solo il primo dei numerosi allontanamenti che ebbe dalle varie redazioni, sia della carta stampata che della tv. Saranno il leit motiv del suo percorso professionale.

Era un osso duro Biagi. La verità prima di tutto, altro che equilibri politici. Come quando da direttore di Epoca, che lui stesso trasformò in un giornale autorevole, non esitò a raccontare degli scontri a Genova e Reggio Emilia contro il Governo Tambroni. Era il 1960 e fu mandato via.

Quarantadue anni dopo l’Italia dimostrò di non essere poi così cambiata. Il famoso editto bulgaro, firmato Silvio Berlusconi, mise fine alla sua trasmissione Il Fatto. Biagi aveva concesso a Roberto Benigni di denigrare la figura e la campagna elettorale del futuro premier poco prima delle elezioni. Per cinque anni è stato lontano dal video.
Quando vi è ritornato, con la sua solita classe, ha detto: «Vi confesso che sono molto felice di ritrovarvi. Dall'ultima volta che ci siamo visti sono accadute molte cose e per fortuna qualcuna è anche finita. Ci sono momenti in cui si ha il dovere di non piacere a qualcuno, e noi non siamo piaciuti».

Con la scomparsa di Enzo Biagi l’Italia perde uno dei suoi giornalisti più grandi. La sua carriera l’ha visto lavorare in giornali autorevoli – La Repubblica, il Corriere della Sera, La Stampa, Il Resto del Carlino. Dirigere il telegiornale della tv di Stato e condurre trasmissioni di successo come Dicono di lei , Terza B, facciamo l'appello e Il Fatto. Dovunque è passato, col suo modo di fare giornalismo, e la responsabilità che sentiva, di raccontare i fatti usando le parole adeguate, perché la comunicazione è un potere, ci ha mostrato come si fa ad essere sempre e comunque al servizio della verità.
Addio Enzo, il vuoto che lasci è incolmabile.

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SPORTIVA Bortoluzzi e il calcio raccontato agli italiani di Mario Basile

Li vedevi passeggiare in centro nei pomeriggi primaverili della domenica, in una mano la mano di una ragazza, nell’altra una radiolina. Poi c’erano quelli che, già sposati, portavano la famigliola in gita fuori porta: nell’auto tutto l’occorrente per un sano picnic all’aperto e… la radiolina. Infine c’erano i giovanotti, quelli ancora scapoli, che soffrivano, da soli o con gli amici, con l’orecchio attaccato alla radio.
Tutti, insomma, ad ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto. Erano gli anni Sessanta, quelli del boom economico, e la tv via cavo con le partite trasmesse in diretta era una cosa più vicina alla fantascienza che alla realtà.

Scriviamo queste righe nei giorni successivi alla scomparsa di uno degli artefici di quel fenomeno di cultura popolare che divenne col tempo Tutto il calcio minuto per minuto: Roberto Bortoluzzi. L’idea di raccontare in tempo reale, dai diversi campi della A, l’aveva messa a punto insieme agli amici e colleghi Guglielmo Moretti e Sergio Zavoli.

Fu subito un successo straordinario, uno stupendo scossone per l’Italia degli anni Sessanta, che stava sostituendo il ciclismo col calcio nella classifica degli sport più amati. Fino all’arrivo di Tutto il calcio minuto per minuto, per sapere cosa stava facendo la tua squadra del cuore bisognava per forza vedere la partita allo stadio.
Oppure inventarsi qualcosa. A Roma ad esempio, ci si poteva recare sulla collina di Monte Mario e scorgere il risultato dal tabellone. A Napoli si racconta che la gente si riunisse sotto la sede de Il Mattino, dove un impiegato esponeva dalla finestra del suo ufficio un tabellone col risultato della partita del Napoli, e l'aggiornava all'occorrenza.

Il debutto di Tutto il calcio minuto per minuto avvenne il 10 gennaio 1960. Campo principale era San Siro, dove si disputava Milan - Juventus. La trasmissione partì con questo saluto: «Gentili ascoltatori, un cordiale buongiorno da Roberto Bortoluzzi». L’avrebbe ripetuto per ventotto anni. Nel 1987 Bortoluzzi salutò un'ultima volta e andò in pensione, proprio nell’anno in cui il Napoli, la sua squadra del cuore, vinse il primo scudetto.

Bortoluzzi era originario di Portici. Suo padre, architetto e ingegnere, progettò gli studi Rai di Corso Sempione. Gli stessi da dove suo figlio avrebbe coordinato gli interventi dei colleghi dai vari campi d’Italia. Colleghi che rispondevano al nome di Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Massimo Valentini, Claudio Ferretti, Alfredo Provenzali, Ezio Luzzi, firme storiche della trasmissione. E tra loro figurano anche alcuni “insospettabili”: Pino Scaccia e Stefano Tura.

Se i radiocronisti erano il cuore della trasmissione, Bortoluzzi ne era il cervello. Dirigeva tutti con precisione maniacale, tanto che a molti sembrava di vederlo: lì, nello studio davanti al microfono, coi tecnici dall’altra parte del vetro e l’orologio in mano per controllare se rispettavano i tempi degli interventi. Tre minuti al campo centrale, un minuto e mezzo per tutti gli altri: Bortoluzzi non dava scampo. E se qualcuno sgarrava, alla fine del giro, ecco il velato rimprovero:« Raccomando ai colleghi di essere brevi…». Quello vero, poi, arrivava in privato.

E’ stato anche grazie a Roberto che Tutto il calcio minuto per minuto è diventata una trasmissione cult nell’immaginario collettivo del nostro Paese. Baglioni ha perfino intitolato così una sua canzone. Troisi, invece, ne fa sua spalla in una celebre scena del suo film Scusate il ritardo.

Oggi, nell’era del calcio moderno, fatto di anticipi e posticipi, turni infrasettimanali e coppe, tutto rigorosamente trasmesso in diretta tv, Tutto il calcio minuto per minuto ha perso un po’ di smalto, ma resiste. Resiste grazie al fascino della radio.
Grazie all’affetto di coloro che, quella radiolina, non vogliono proprio saperne di abbandonarla.

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