Diciamo no alla “legge
del taglione”
di Filippo Bisleri
Nel segno della violenza e della vita (negata o privata). Questa
settimana, “Telegiornaliste” torna sulla vicenda dei referendum
dove molti cantano vittoria e pochi ammettono la sconfitta
mentre certamente molte coppie (e le recenti indagini europee parlano
dell’allarmante dato di un terzo di copie sterili entro il 2010) sperano almeno
nella modifica della Legge 40.
Così come molte donne italiane sperano di essere protette dagli stupratori
stranieri che, violando le donne italiane davanti ai loro uomini, proverebbero
il loro disprezzo per il nostro Paese. Una tesi un po’ ardita, che presta il
fianco alla ventilata “legge del taglione” del Ministro Roberto
Calderoli. Uomo non nuovo all’idea delle taglie ed esponente di un partito (la
Lega Nord) che ha “cavalcato” anche la tragica vicenda dell’omicidio del
barista di Besano ad opera di un giovane albanese. Peccato che, sulla
vicenda di Besano, la Lega, movimento che molti reputano contiguo ad una certa
tifoseria ultrà (cui apparteneva anche Claudio Meggiorin, la vittima), ha
sparato a “zero” sugli stranieri, poi ha abbassato il tiro limitandosi ai
clandestini e infine ha invocato posizioni più tolleranti.
Ai politicanti da “legge del taglione” (politici non li vogliamo
considerare perché ben altro è lo spessore richiesto per dirsi tali) chiediamo
di fermarsi. Di smettere di gettare benzina sul fuoco.
Lo fa già Aldo Biscardi, ma lui parla di calcio e i danni
possono essere limitati (anche se l’euroderby o il post Bologna-Parma non
depongono a favore dei danni contenuti).
Impariamo piuttosto a leggere i segnali positivi come la
possibile ammissione, nell’islamica Arabia Saudita, delle donne ai corsi
di guida o interroghiamoci sul perché, a distanza di anni, sul “metodo Di
Bella”, il cocktail anti tumore del fisiologo modenese Luigi Di Bella,
ancora si fa informazione legata agli steccati di partito. Col rischio di creare
ulteriore rifiuto nella gente di affrontare il tema, come accaduto coi
referendum.
Intanto il campionato di serie A accoglie
Cristina Parodi e Maria Leitner, mentre saluta Francesca Senette e Diletta Petronio. L’ex campionessa De Nardis si sta giocando la salvezza contro
Marica Morelli.
Chi approderà nel porto sicuro della serie A?
MONITOR
Tra la vita e la vita
di Fiorella Cherubini
Il 12 e 13 giugno scorso gli italiani sono stati chiamati ad
esprimersi, a mezzo referendum, per abrogare o confermare alcune parti della
Legge 40/2004, che disciplina la fecondazione assistita.
La scelta quasi strategica del governo – come spesso accade, quando
argomenti spigolosi sono oggetto di materia referendaria – di far cadere il
giorno della votazione in pieno mese di giugno
puntando sulla speranza che gli italiani preferissero il mare alle
urne, si è tradotta in un’affluenza ai seggi assolutamente insufficiente al
raggiungimento del quorum: ha votato, come noto, uno su quattro degli aventi
diritto.
E non ha giovato alla sensibilizzazione politica e civile dei
cittadini la traslazione dei contenuti referendari da un aspetto
etico-scientifico ad uno squisitamente politico, per cui l’astensionismo
ha in pratica rappresentato la vittoria della destra e la
sconfitta della sinistra.
In questo astensionismo diffuso, il Vaticano ha voluto
ravvisare il proprio merito di aver “illuminato le menti”; il leader dei
DS Fassino vi ha visto l’influenza ideologica esercitata appunto sui
cittadini dalle sollecitazioni cattoliche; la maggioranza degli opinionisti lo
ha, invece, interpretato con faciloneria come la preferenza degli elettori per
il mare piuttosto che per le urne.
E se fosse invece un’attestazione di umiltà? Magari il passo indietro
di un popolo che, di fronte a temi così importanti come la vita e le
sperimentazioni sugli embrioni, ha responsabilmente scelto il silenzio.
Dal coro di opinioni si sono distinte due voci autorevoli: quelle di Oriana
Fallaci e Umberto Veronesi.
La prima, ingrossando le fila di coloro che si sono astenuti o che
hanno votato “No”, ha manifestato - in un articolo pubblicato il 3 giugno su
“Il Corriere della Sera"-
un categorico disappunto verso una legge che garantirebbe figli da
concorso di bellezza, selezionati, scelti sul menù dell’eugenetica.
Decisamente forte l’associazione della Fallaci tra gli attuali
laboratori e i campi di sterminio di Birkenau ed Auschwitz; tra l’olocausto
degli embrioni e quello degli ebrei.
Ai più attenti non sarà sfuggita l'inversione di marcia rispetto al
passato: la contraddizione fra la scrittrice di "Lettera a un bambino mai
nato" e l'opinionista odierna.
La mangiapreti, che non mancò di votare a favore della Legge
194/78 sull’interruzione di gravidanza, in pochi mesi, prima su Terry Schiavo e
l’eutanasia, poi in occasione del referendum, non ha indugiato ad esprimersi a
favore della “vita” (che nell’ Intervista a se stessa qualificò come:
“Il miracolo dei miracoli, il regalo dei regali, anche se si tratta di un regalo
molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso").
La Fallaci ha dato ragione a Ratzinger mentre si costruiva una sorta
di schermo difensivo dalle critiche autodefinendosi ironicamente "un nuovo
acquisto del Vaticano", una "ravveduta in punto mortis".
La pioggia di critiche non si è fatta attendere, e ha trovato il suo
apice in una lettera di Umberto Veronesi.
Questi, medico e scienziato da anni dedito alla ricerca sui tumori del
seno, si è reso portavoce dei sostenitori del “Si”.
Veronesi ha evidenziato l’illogicità - all’interno di una
stessa legislazione - della coesistenza di due leggi come la 40 sulla
fecondazione assistita e la 194 sull’interruzione di gravidanza, rimarcando che
chi ha votato a favore della seconda (come anche la Fallaci fece a suo tempo)
dovrebbe coerentemente battersi per l’abrogazione di alcune parti della prima.
Per Veronesi la scienza dovrebbe essere lasciata libera di avanzare,
nel rispetto, certo, dell’essere umano, ma scevra da eccessivi vincoli morali;
di contro v’è il divieto assoluto della Fallaci a non sostituirsi alla Natura.
Ma è un assolutismo, alla fine, monco, quasi intriso di
rammarico, laddove si esprime con le parole: “Questo referendum si concluderà
come quello sulla caccia. Cioè con i cacciatori che continuano a sparare sotto
le nostre finestre e ad ammazzare gli uccellini”.
Ed infatti.
CAMPIONATO
Arrivederci campionessa di Rocco Ventre
Per
ironia della sorte, proprio quando mancano pochi giorni al suo atteso ritorno in
video, la campionessa uscente Eleonora de Nardis
sprofonda nel baratro della serie B. Non era mai successo prima
che una telegiornalista facesse un salto all'indietro così clamoroso. Sarà
dunque Marica Morelli
a disputare il campionato di serie A in compagnia di Cristina Guerra che ha condannato alla
retrocessione la Spiezie.
Chi sarà l'erede di Eleonora de Nardis? Una cosa è sicura: la
campionessa sarà una novità assoluta per il campionato. Manuela Moreno e Francesca
Todini
infatti per la prima volta disputano la finale per il titolo: ai
votanti l'ardua sentenza. Per le sconfitte Mattei
e Panella
rimane solo la finalina di
consolazione.
CRONACA IN ROSA
Nuove
tendenze primavera estate
di Silvia Grassetti
Milano, maggio 2005: tre stranieri, probabilmente rumeni,
aggrediscono una coppietta appartatasi in auto, picchiando il ragazzo e
violentando la ragazza
di 26 anni che era con lui.
Milano, giugno 2005: cinque stranieri, tra cui due minorenni
rumeni, stuprano una giovane di 22 anni dopo averne picchiato e
immobilizzato il fidanzato.
Bologna, giugno 2005: due extracomunitari marocchini, sotto la
minaccia dei coltelli, violentano una ragazzina di 15 anni, mentre il
suo fidanzatino 17enne assiste impotente.
Milano, giugno 2005: cinque stranieri aggrediscono una coppia:
picchiano il ragazzo e stuprano la 19enne che era con lui.
L’arrivo dei primi caldi è in qualche modo connesso con questi atti
efferati di violenza? Siamo sicuri che presto i sociologi ci forniranno anche
dati del genere. Per ora ci pensano gli antropologi
e i politici a fornirci nuove chiavi di lettura.
Ida Magli, antropologa, intellettuale “libera” e perciò scomoda
nel panorama culturale italiano, si pronuncia sulla questione dalle pagine
altrettanto scomode del quotidiano “La Padania”, in una intervista
apparsa lo scorso 21 giugno: “Nel momento dello stupro non è il desiderio
erotico che fa scattare la violenza, ma usare il pene sulla donna di qualcun
altro, costringendo il compagno, il fidanzato o il marito ad assistere,
rappresenta la vittoria sull’altro maschio".
E se il giornalista leghista chiede cosa significano tanti aggressori stranieri,
la Magli ci casca, e risponde: “non dobbiamo mai pensare che chi arriva in
Italia da altri Paesi ci ama. Il fatto di aver bisogno di un Paese straniero,
appunto, ci rende ai loro occhi ancora più nemici. La violenza sessuale
rappresenta la forma di maggiore disprezzo verso i maschi mentre la donna è lo
strumento attraverso cui comunicarla”.
Un interessante spunto di riflessione, che sarebbe stato più autorevole fuori
dal contesto capzioso di questa intervista leghista.
Soprattutto dopo la presa di posizione del Ministro per le Riforme Calderoli:
"Davanti a delitti così aberranti, come le violenze sessuali degli
ultimi giorni, l'unica legge che può valere è quella del taglione:
così come in altri Paesi, credo sia necessario introdurre come pena la
castrazione chimica per i reati sessuali".
Che, non contento, ha aggiunto: "Personalmente penso che la castrazione
chirurgica sia la più idonea da un punto di vista della prevenzione, ma anche
quella chimica, anche se non irreversibile, consente di mettere queste bestie in
condizioni di non offendere”.
Registriamo quindi due nuove tendenze della primavera - estate
2005: l’escalation di violenza sessuale ai danni delle donne, che le
istituzioni devono imparare a prevenire; e la violenza verbale di quei
politici che gettano benzina sul fuoco, invece di fare, con coscienza, il loro
mestiere.
CRONACA IN ROSA
Vecchi tabù e
nuove speranze
di Tiziana Ambrosi
E se le donne potessero guidare? Certo, in "occidente" una domanda di
questo tipo provocherebbe ilarità e spingerebbe a consigliare al proprio
interlocutore qualche ora di sonno in più.
In alcune parti del mondo arabo, in particolare in Arabia Saudita,
questa domanda non fa sorridere per niente, anzi provoca non pochi turbamenti e
irritazione, visto che, alle donne, guidare l'automobile è vietato.
Tuttavia è probabile che questo divieto vigerà ancora per poco, visto
l'orientamento del Consiglio Consultivo, una sorta di Parlamento non
eletto, composto (senza necessità di specificarlo) da soli uomini, ad aprire la
portiera dal lato del guidatore anche alle donne.
Chi immagina questa notizia come avvio di una svolta epocale verso la
libertà di cultura e di pensiero casca male.
Certo non è l'esame di coscienza di coloro che detengono il potere ad
aprire a questa possibilità, né una rivoluzione culturale scaturita dalla
popolazione: sono bensì le difficoltà economiche in cui versa uno dei Paesi più
ricchi sulla faccia della Terra.
E' stato stimato che le famiglie saudite siano costrette a spendere
2,6 miliardi di euro all'anno per pagare autisti stranieri che facciano
scorrazzare in giro le signore per le loro necessità. Un costo inaudito che,
nonostante il greggio alle stelle, il Paese non si può permettere. Ed ecco,
allora, che a qualche compromesso con i principi dello Stato e conseguentemente
della religione si può scendere, richiamando tutti, uomini e donne, ad
aiutare un sistema economico in ristrutturazione (non di solo petrolio si
può e potrà vivere).
Ma non è detto che questa vicenda debba essere colorata solo dalle
tinte fosche del cinismo, perché forse un primo passo verso l'emancipazione
femminile può essere intravisto. Anche in Occidente, quando la donna ha
cominciato ad uscire dalle cucine e via via si è inserita nel sistema economico,
ha ottenuto quell’indipendenza culturale
e per conseguenza economica, che ha dato l’impulso più vivo ai
movimenti di emancipazione femminile. Il discorso è molto complesso, ma è
intrigante considerare come, nel momento in cui la donna riconosce le proprie
capacità, e la società le affida un ruolo nella strutturazione del tessuto
sociale ed economico, inizi la liberazione femminile dalle costrizioni.
A questa notizia parallelamente si associa quella proveniente dal
Kuwait, all'interno del cui governo è stata inserita per la prima volta una
donna Massuma Al Mubarak, nuovo Ministro della Pianificazione e dello
Sviluppo Amministrativo. Indubbiamente le pressioni dei Paesi occidentali
verso uno degli Stati arabi più filoamericani hanno avuto le loro incidenze, ma
per una nazione che ha introdotto il suffragio universale nel maggio di
quest'anno, si può definire senza ombra di dubbio un bel passo in avanti.
FORMAT Metodo Di Bella, sconfitta informativa
di Filippo Bisleri
In queste settimane molte trasmissioni, citiamo per tutti “Porta a
porta” e “Omnibus", si sono cimentate sul delicato argomento del
possibile ripristino della sperimentazione del "metodo Di Bella".
Molto è spiegato sul portale
www.metododibella.org,
ma va detto che le due trasmissioni, come le altre che hanno affrontato
l'argomento, non sono riuscite a chiarire i mille dubbi
dei cittadini italiani.
Dopo la fallita sperimentazione di qualche anno fa, infatti, il metodo
basato sulla somatostatina e su altri farmaci sembrava accantonato.
Bruno Vespa e la redazione di “Omnibus” per quanto
riguarda La7 si sono gettati sull’argomento: puntavano a capire qualcosa di più
e, soprattutto, a far capire qualcosa di più agli spettatori.
Ma i molti italiani che hanno seguito le due trasmissioni non hanno
ricavato alcun beneficio informativo.
Da due ben collaudate redazioni giornalistiche come quelle di
“Porta a porta” e di “Omnibus” sinceramente ci aspettavamo qualcosa
di meglio, ma i dubbi su cui si sono aperte le trasmissioni sono
rimasti tutti sul tappeto. Anzi, se ne sono aggiunti altri.
Le due redazioni erano in grado di spiegare agli italiani se la
sperimentazione del 1998 sia stata ben eseguita o meno, e se il metodo ha
oggi, magari con qualche aggiunta e rivisitazione dovuta al progresso
scientifico, i numeri per poter essere nuovamente testato.
E invece gli sforzi per fare capire ai telespettatori qualcosa di più
sono stati vani, cosicché è andata sprecata anche una bella occasione per
svolgere un servizio utile alla gente: è mancato il chiarimento sul punto di
vista della comunità scientifica in materia di oncologia. Soprattutto si è
lasciato (voluto?) che gli scienziati si dividessero come guelfi e ghibellini
senza quasi ragionare sulle motivi delle diverse prese di posizione.
Trasmissioni come “Porta a porta” e “Omnibus"
avrebbero potuto cogliere l'occasione per mandare in soffitta la
partigianeria, le posizioni preconcette e le visioni politiche e parlare, da
bravi giornalisti, delle nuove frontiere della medicina.
Non vogliamo fare la difesa d’ufficio del metodo Di Bella (chi scrive
ha conosciuto persone che hanno provato il cocktail a base di somatostatina e
acido retinoico e non ce l'hanno fatta); piuttosto segnalare che
l'informazione si fa chiarendo i termini della vicenda, non
spettacolarizzandola.
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri
Gradino più alto del podio per la “regina” del Palio di Siena.
Tranquilli, non stiamo parlando di una contrada, ma di
Susanna Petruni,
apprezzata voce del palio senese ormai da qualche anno. La Petruni non si
mette in luce solo nelle due conduzioni annuali della storica kermesse della
città del Panforte, ma brilla di luce propria anche all’interno del
Tg1 che conduce (edizione delle 13.00) con piglio autoritario, grande
professionalità e qualche concessione alla sua femminilità. Il tutto sempre
senza eccessi perché per la tgista bionda “tutto pepe” la realtà più importante
è la notizia, seguita dal come la si porge al pubblico. Brava Susanna. Un
bellissimo “8.5”.
Novità della nostra classifica il secondo gradino che viene conquistato da un
uomo. Si tratta, nello specifico, di Luca Rigoni. “Beccato” più volte da
quelli di “Striscia” per le sue disavventure da inviato negli Usa, il
bravo Luca Rigoni sta dimostrando, settimana dopo settimana, di essere invece
un giornalista doc, incappato purtroppo nella frenesia dei collegamenti in
diretta e negli scherzi del fuso orario. Per lui secondo gradino del podio con
un bel “7.5”.
Non poteva mancare dal podio
Annalisa Spiezie, la brava tgista metà campana e metà trentina che, a
dispetto del cognome che per molti è di difficile pronuncia e per lei stessa un
po’ scomodo (visto che a Roma significa “cozza”), sta offrendo delle
conduzioni televisive sempre più pregevoli. Un po’ sprecata nel solo tg, per
lei auspicheremmo anche la conduzione di programmi di approfondimento. Promossa.
Con un “6.5”.
Non ce ne voglia il buon Maurizio Biscardi ma, come l’omonimo
(per cognome) collega, sembra sempre di più portato a fare show, e a dire
di aver sempre ragione, che a mettersi a disposizione del confronto con gli
altri. Evidentemente la scuola del “Processo”
l’ha ben appresa. Il problema è che si sta preoccupando di esportarla
in altre televisioni oltre a “La7”. Un vero guaio. Bocciato. “4.5”.
A volte ci chiediamo il perché di alcune domande che fa e del modo in
cui le fa. Starete certamente pensando al buon Marzullo e invece no. Stiamo
parlando di
Anna La Rosa,
il cui stile nell’intervistare i politici è davvero sempre più simile
alle domande del citato Marzullo. Il salotto politico di Anna La Rosa non
ha mai colpi d’ala degni del nome di una trasmissione con la “T” maiuscola.
Rimandata. “5”.
Evidentemente fatica ad adattarsi al nuovo direttore, forse soffre la
maggiore visibilità della collega
Cesara Buonamici, ma certo è che
Lamberto Sposini
non ha tratto giovamento neppure dalla vittoria dello scudetto della sua
Juventus. Ultimamente prova a infarcire i lanci dei servizi o i rientri
in studio di commenti. Ma Chicco “mitraglietta” Mentana è su un altro
pianeta. E se invece vuole scimmiottare Fede, riesce male anche in questa
impresa. Da rivalutare. “5.5”.
TELEGIORNALISTI Biscardi, il
re dello scontro di Filippo
Bisleri
Aldo Biscardi è sicuramente un giornalista
particolare. Partito come “assistente” al “Processo del lunedì” (in
questa veste è apparso anche nel cult-movie che ha come protagonista Lino Banfi:
“L’allenatore nel pallone"), il giornalista abruzzese si è mano a mano
avvicinato alla conduzione del programma che oggi porta il suo nome.
“Il processo di Biscardi” è partito dagli schermi Rai, è
approdato a quelli di Mediaset e ora “vive” sugli schermi di La7. Il re degli
“sgoob", il giornalista più imitato e caricaturizzato della televisione
italiana, imperversa con i suoi supermovioloni
(chissà che avrà pensato nel momento dell’assegnazione dello scudetto
del basket alla Climamio con l’instant replay).
E imperversa nel non trasmettere una vera cultura sportiva ma nel
giocare, in ragione degli ascolti, sugli scontri tra diverse tifoserie, e tra
città. Non è raro vederlo fare qualche gesto per incitare i suoi ospiti ad
alzare la voce, a creare la polemica.
Già, perché se polemica non ci fosse, se mancasse lo scontro verbale, il
povero Aldo Biscardi, che nel salotto buono tiene appesa una laurea in Scienze
Politiche con tanto di 110 e lode, avrebbe per le mani un programmino.
"Il processo" qualche anno fa fu anche oggetto di denuncia da
parte dell’intera famiglia arbitrale italiana del calcio (Aia,
associazione italiana arbitri); non seguì condanna poiché il giudice ritenne che
il livello delle discussioni del programma fosse "da bar" e dunque poco
credibile o punibile.
Il “nostro” Biscardi, dall’alto della sua tribuna da pontificato, sempre
affiancato da vallette mute, urlò la sua soddisfazione per la positiva
conclusione della vicenda giudiziaria. Peccato che non capì (o forse finse di
non capire) che in realtà era stata una mezza condanna. Come una mezza condanna
per l’Italia veramente sportiva è l’esistenza di un programma come il
“Processo".
Biscardi è in grado di realizzare programmi veri ed educativi. Lo
faccia, per il bene dello sport e per dimostrare a tutti, ai molti che non lo
sanno, che anche lui è un bravo giornalista.
EDITORIALE
ExtracomunItalia
di Giuseppe Bosso
Una tragedia italiana,
l'ennesimo fatto di sangue che, come una palla al balzo, è stata colta per
inasprire il dibattito sulla spinosa questione della lotta all’immigrazione
clandestina.
Quello di Claudio Meggiorin, 23enne di Besano, nel varesotto,
assassinato
la sera dell’11 giugno scorso per aver tentato di sedare una rissa
davanti al locale dove lavorava, sarebbe solo l’ennesimo dramma di una vita
spezzata dalla follia umana, pianta e dimenticata in fretta. Se non fosse per la
nazionalità degli assassini: albanesi, alias extracomunitari, alias, per
molti, pericolosi delinquenti.
La cerimonia funebre, che ha mobilitato anche le telecamere
della Rai, si è trasformata in un vero e proprio raduno ultrà, con skinheads e
teste rasate presenti: cori da stadio e striscioni mal si conciliavano
con l’atmosfera dolorosa che avrebbe dovuto impregnare l’ultimo saluto ad una
persona portata via troppo presto da questo mondo.
Fortunatamente nessuna delle paventate ritorsioni verso la comunità
albanese si è verificata, se si eccettuano piccoli episodi di vandalismo, come
la rottura della vetrina di una pizzeria adiacente al luogo della tragedia,
gestita da immigrati giunti dall’altra sponda dell'Adriatico.
Per ora, almeno sotto questo aspetto, la calma prevale sulla rabbia;
ma lo stesso non può dirsi riguardo l’opinione pubblica sugli immigrati,
istituzioni comprese, come dimostra la presa di posizione del Ministro Pisanu,
che vede nell’episodio l’ennesima testimonianza del pericolo che queste
persone costituiscano per i cittadini italiani; la Chiesa, nelle parole
di monsignor Luigi Stucchi, vescovo di Varese, ammonisce dal fare di tutta
l’erba un fascio e dal cercare vendette sommarie, come, pur provati dal dolore,
chiedono gli stessi genitori di Meggiorin: il loro dramma non sia pretesto per
versare altro sangue.
Qual è la soluzione al problema? Chi ha ragione tra coloro che
chiedono più severità, dai controlli alle frontiere al sistema punitivo per i
clandestini, e coloro che invitano a non generalizzare e si mostrano più
indulgenti?
L’immigrazione non è certo un fenomeno dell’ultim’ora, e noi italiani
lo sappiamo bene per esserne stati protagonisti in passato, nelle stesse
condizioni in cui versano oggi le miriadi di albanesi, africani e orientali che
fuggono da guerre, povertà e carestie
in cerca di un futuro migliore, per poi essere sfruttati da gente
senza scrupoli, per poi adeguarsi a lavori umili e mal pagati o scegliere la
strada facile, ma senza ritorno, del crimine e della delinquenza.
Sono probabilmente quelle stesse istituzioni che tanto dibattono a
dover compiere un passo importante, nel dotarsi, per quanto possibile, delle
condizioni ideali per accogliere coloro che, ed è opinione condivisa da molti,
costituiscono una risorsa indispensabile per un’economia basata ancora in buona
parte su agricoltura e industria.
Ma probabilmente il primo, vero, passo da compiere è collettivo,
difficile ma fondamentale, se si vuole vincere questa battaglia: mettere da
parte quel sentimento chiamato razzismo che ancora oggi, malgrado
molti paletti siano caduti, continua ad albergare negli animi e avere
comprensione e tolleranza per chi, con coraggio, lascia la propria terra e le
proprie radici in cerca di una vita migliore.
|